Tabella dei Contenuti
Quante sono le figure retoriche? Io ne ho contate oltre 40 e sicuramente ne manca qualcuna. C’è un motivo se ce ne sono così tante: l’essere umano, almeno da un certo punto in poi, ha sentito il bisogno di esprimersi in modo più persuasivo, convincente, avvincente ed elegante.
Dai tempi degli antichi greci le cose non sono cambiate di molto: forse oggi siamo un po’ più raffinati (forse), ma l’uso delle figure retoriche resta uno dei capisaldi per scrivere testi che si facciano leggere. Non a caso qualcuno definisce le figure retoriche come gli effetti speciali del linguaggio.
Tutti noi sappiamo quanto sia difficile, oggi, catturare l’attenzione delle persone e invogliarle a leggere.
Eppure da questo dipende la riuscita di qualsiasi attività: la parola scritta rimane la più potente arma che abbiamo per farci conoscere, far conoscere il nostro lavoro, i nostri prodotti e servizi, far crescere il business.
La parola retorica può spaventare: è qualcosa di cui abbiamo sentito parlare a scuola e tendiamo a relegare la materia tra quelle da lasciare agli esperti, ai poeti, agli scrittori, agli avvocati o ai politici.
Invece, senza che ce ne accorgiamo, usiamo le figure retoriche (per lo meno alcune) nel linguaggio corrente. Ne siamo circondati pressoché quotidianamente.
Imparare a riconoscerle e usarle in modo consapevole significa farle diventare preziose alleate per creare testi efficaci per i nostri post social, per gli articoli del blog, per la newsletter.
Non tutte fanno al caso nostro, naturalmente. Alcune invece possiamo usarle strategicamente come il fuoco d’artificio con il quale risvegliare l’attenzione del nostro lettore (nonché potenziale acquirente) e persuaderlo a compiere l’azione che ci interessa. Sono quelle che, ad esempio, vengono utilizzate spessissimo in pubblicità per emergere tra milioni di altri spot e, in ultima analisi, per vendere.
Più avanti vedremo quali (per lo meno le più comuni) e come possiamo usarle per i nostri scopi. Ma, prima di tutto: cos’è una figura retorica?
La figura retorica è un trucco
Sì. È un trucco per deviare il discorso dal senso comune. È un trucco per accendere un’immagine nella mente di chi legge (o anche ascolta), permettergli di ricordare meglio un concetto, stupirlo ed emozionarlo. Non a caso, sono molto amate dalla pubblicità.
È un artificio che crea un effetto sonoro o di significato insolito attraverso il quale il lettore viene catapultato in un universo nuovo. In questo modo chi scrive (o parla) riesce ad esprimere il proprio pensiero in un modo più efficace e incisivo.
La figura retorica permette, insomma, di giocare con le parole e di trovare un proprio, personalissimo stile di comunicazione, attingendo – perché no? – al proprio vissuto, alle proprie esperienze di vita, alla propria sensibilità.
Le figure retoriche sono divise in tre macro aree:
- figure fonetiche o di suono (creano effetti sonori o di ritmo particolari)
- figure di parole o sintattiche (riguardano l’ordine delle parole all’interno della frase o la loro ripetizione)
- figure di significato (agiscono sul significato stesso della parola ampliandolo o deviandolo dal senso comune).
Figure retoriche nella comunicazione di business
Nel 1957 il giornalista e sociologo Vance Packard alzava il velo sulle tecniche (allora poco conosciute) di persuasione di massa con il suo famoso libro “I persuasori occulti”.
Noi non dobbiamo persuadere nessuno in modo occulto, per vari motivi:
- “non è carino”
- le persone sono molto più smaliziate e attente
- alla lunga non paga
Il nostro compito è quello di utilizzare la scrittura per spiegare in modo efficace e convincente chi siamo, cosa facciamo, come lavoriamo raccontando le nostre esperienze, i valori in cui crediamo e come possiamo essere utili agli altri.
È meglio se lo facciamo in modo non pedissequo, banale o autoreferenziale.
E le figure retoriche ci aiutano ad avere una scrittura (o comunque un modo di esprimerci) brillante, senza essere costretti a fare sfoggio di erudizioni non richieste…
Quali usare (con esempi)
Premessa.
Come dicevo, le figure retoriche sono tante, ma a noi, in quanto professionisti e non poeti o scrittori, non servono tutte. Inoltre, vale la solita regola di vita: usare il buon senso. Anche le figure retoriche – un po’ come le citazioni – vanno contestualizzate al discorso, non usate a casaccio e utilizzate con parsimonia (come il sale) per non incorrere nel rischio di generare un effetto-boomerang o apparire ridicoli.
Le figure retoriche che trovi elencate di seguito sono quelle di cui fa largo uso la pubblicità, ma che – adeguatamente contestualizzate – sono utili anche nella comunicazione di business, da utilizzare, a seconda dei casi, per un post social, in un articolo del blog, nella newsletter. Le puoi utilizzare anche come “fabbrica di idee” quando ne sei a corto per i tuoi contenuti.
Allitterazione
Umberto Eco ne sconsigliava l’uso, ma ha un suo perché: è potente per aiutare la mnemonizzazione e aggiunge musicalità al testo. Fa parte delle figure di suono e consiste nella ripetizione di sillabe o consonanti in parole vicine fra loro con un chiaro intento onomatopeico.
Esempi: «Ceres c’è»; «di me medesmo meco mi vergogno e del mio vaneggiar vergogna è ‘l frutto…» (Petrarca); «…e caddi come corpo morto cade …»; «Evita le allitterazioni, anche se allettano gli allocchi» (Umberto Eco :)).
Anafora
Deriva dal greco antico ἀναφορά (anaphorá, «ripresa») ed è appunto una ripetizione. A differenza dell’allitterazione, l’anafora ripete, all’inizio di ogni frase, una parola intera (e non solo qualche lettera) o addirittura un’espressione. Lo scopo è quello di accentuare un concetto o un significato.
Esempi: la famosissima «Per me si va nella città dolente, per me si va nell’etterno dolore, per me si va tra la perduta gente” (Dante); «Don Abbondio stava su una vecchia seggiola, ravvolto in una vecchia zimarra, con in capo una vecchia papalina» (Manzoni, I Promessi Sposi”); «Di tutto di più» (slogan Rai); «Suona la campanella; scopa, scopa la bidella; viene il bidello ad aprire il portone; viene il maestro dalla stazione; viene la mamma, o scolaretto, a tirarti giù dal letto…» (Rodari); «Alle volte essere molto motivati non basta. Alle volte è il contesto a metterci i bastoni tra le ruote» (incipit di un recente articolo/intervista che ho scritto per un cliente).
Anfibologia
Dal greco ἀμϕίβολία = «ambiguità», «incertezza», e λόγος = «discorso», questa figura retorica gioca sulle ambiguità (semantiche o sintattiche). Si presta molto all’ironia (quindi adatta a chi è solito usare un tono di voce non formale o tratta argomenti “leggeri”), ma non solo: sfruttando le diverse possibilità di interpretazione della frase aiuta a riflettere su un concetto, perché richiede uno sforzo ulteriore di pensiero.
Esempi: «Una vecchia porta la sbarra»; «Ho visto mangiare un uccellino»; «Il futuro dell’Africa è nero» (Adv di Amref: significa che il futuro dell’Africa è tetro oppure che deve ripartire da se stesso?
Attenzione alle anfibologie involontarie (trappole della lingua italiana): «Ho visto Luca con Gianni e l’ho invitato a pranzo» Chi? Luca o Gianni? E quelle per punteggiatura sbagliata: «Vado a mangiare nonna» anziché «Vado a mangiare, nonna» o per ordine sbagliato dei vocaboli: «Pastelli per i bimbi tossici sequestrati dalla finanza».
Antitesi
Qui si intende l’accostamento di parole o concetti contrapposti per enfatizzare il contrasto e dunque dare spessore all’idea che si vuole esprimere. Il contrasto è un buon metodo per imprimere meglio un concetto nella testa di chi legge, rendere più vivido uno stato d’animo, suscitare una reazione o una riflessione.
Esempi: «Più lo mandi giù, più ti tira su» (slogan Lavazza); «Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi (G. Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo); «…ardo e sono un ghiaccio…» (Petrarca); «Il ragazzo sorrise tristemente e scosse il capo…» (Salgari, Il tesoro del presidente del Paraguay). In pubblicità può bastare un’immagine:
Antonomasia
È probabilmente la figura retorica più amata dalla pubblicità e anche una delle più conosciute e usate nel linguaggio comune. In greco significava “chiamare con un nome diverso” ed è questo che fa l’antonomasia: conferisce alle cose un nuovo nome. In due modi: il nome proprio o una caratteristica distintiva di una persona diventa nome comune; un nome comune diventa nome proprio.
Esempi: un mecenate (per indicare un protettore delle arti); una babele (per dire caos); un casanova (grande amatore); un einstein (persona geniale); un marcantonio (persona molto alta e robusta); un anfitrione (per indicare un perfetto padrone di casa); l’Avvocato (per indicare Gianni Agnelli); il Poeta (per indicare Dante); il Pianeta Rosso (Marte); il Cavaliere (per Berlusconi).
Ma anche Kleenex; Scottex; Scotch; Jeep; Borotalco; Aspirina: tutti nomi di prodotti/marchi oggi usati per lo più come nomi comuni.
Climax
Molto usata in letteratura, questa figura retorica serve per creare un effetto progressivo di intensità, aumentando l’espressività, enfatizzando un concetto, generando pathos e incalzando il lettore.
Esempi: «Altissima, purissima, levissima» (slogan dell’acqua Levissima); «E qui per terra mi getto e grido e fremo» (Leopardi, La sera del dì di festa); ti amo, ti adoro, ti venero; «Mi ascolto, mi capisco, mi dico di sì, mi perdono, mi sorrido, mi piaccio, mi voglio bene» (adv Mivida Misura); «Volli, sempre volli, fortissimamente volli» (Vittorio Alfieri – ma questa è anche un’epanadiplosi→ vedi più avanti).
C’è anche l’anticlimax, in cui i toni diminuiscono anziché aumentare di intensità: «brama assai, poco spera, nulla chiede» (Tasso, Gerusalemme liberata).
Epanadiplosi
Per semplificare un pochino, possiamo dire che è un po’ anafora e un po’ epifora. Infatti, è la ripetizione di una parola (o di parole dal significato simile) all’inizio e alla fine di una frase/strofa, cosa che dà al testo una struttura circolare. È una tecnica per sottolineare un concetto e/o rafforzare un’idea insistendovi sopra.
Esempi: «Per amarlo come lui ti ama» (Ceasar cibo per cani); «Piace alla gente che piace» (pubblicità della Y10); «Il poco è molto a chi non ha che il poco» (Pascoli).
Epifora
Detta anche epistrofe, è “uguale e contraria” all’anafora, nel senso che consiste nella ripetizione della stessa parola o di parole di uguale significato ma alla fine e non all’inizio della frase. Lo scopo è sempre le stesso: rafforzare un concetto. Il suo uso, a dire il vero, è più frequente in poesia. Ma considera questo: quasi tutti sono concordi sul fatto che ciò che sta alla fine (di una frase o di un elenco puntato ad esempio) attiri di più l’attenzione. Quindi valuta di mettere (o ripetere) alla fine di una frase l’elemento che consideri più importante, quello sul quale vuoi che si concentri l’attenzione del lettore.
Esempi: «Scusa è tardi, e penso a te, ti accompagno e penso a te, ti telefono e intanto penso a te» (Lucio Battisti); «È al sicuro, proprio come le avevo promesso. È pronta a sposare Norrington, proprio come aveva promesso. E tu morirai per lei, proprio come avevi promesso» (Jack Sparrow, Pirati dei Caraibi).
Eufemismo
Gli eufemismi non mi sono mai molto piaciuti: quando possibile ritengo preferibile dire le cose come stanno, ma ti segnalo questa figura retorica per completezza. Serve ad attenuare un concetto o un’espressione, che in determinate situazioni, potrebbero risultare offensive o sgradevoli. Come puoi ben immaginare, la pubblicità ne fa largo uso (specie in ambito cosmetico o medico), un po’ per questioni di rispetto del pubblico (non sai mai chi c’è dall’altra parte), un po’ per pudicizia, un po’ per convenzione. E poi perché ai pubblicitari non piace in generale parlare di cose negative.
Esempi: «Pelle matura»; «Quei giorni lì»; «Passare a miglior vita» (seeee…); «Bella di notte»; «Non è un cuor di leone» (nella forma della litote).
Litote
Ne facciamo un larghissimo uso nel parlare quotidiano, tanto che è quasi inconsapevole. Con la litote addolciamo o attenuiamo un concetto o un’espressione che potrebbe risultare forte o offensiva negando il suo contrario (dal greco litotes che significa appunto attenuazione). Ma la usiamo anche per accentuare un concetto o per fare ironia.
Esempi: «Don Abbondio (il lettore se n’è già avveduto) non era nato con un cuor di leone» (Manzoni); «I cavallier, di giostra ambi maestri, che le lance avean grosse come travi, tali qual fur nei lor ceppi silvestri, si dieron colpi non troppo soavi» (Ariosto); «Non è un’aquila»; «Hai fatto non pochi sacrifici»; «Non è un gran fenomeno»; «Una casa non piccola»; «Un giardino non bello».
Metafora
Adoro la metafora: mi viene da dire che è la figura retorica per antonomasia :). Dal greco metà + phero, ovvero trasporto, è un’arma potentissima per incuriosire, ottenere attenzione, esprimere un concetto in modo originale, accendere immagini nella mente di chi legge. Appunto: ti trasporta altrove. Tecnicamente si realizza sovrapponendo due campi semantici differenti ma in qualche modo legati da un riferimento comune. Qui davvero, la tua esperienza personale fa la differenza, perché la metafora può essere declinata in tantissimi modi attingendo a situazioni che hai vissuto, persone che hai conosciuto, luoghi che hai visitato.
Esempi: «Il naufragar m’è dolce in questo mare» (Leopardi, L’infinito); «Tuffarmi in un gomitolo di strade» (Ungaretti, Natale); «Anche un uomo tornava al suo nido» (Pascoli). «Oggi mi sento una roccia»; «Questo compito è una passeggiata»; «La sua casa per me è un porto sicuro». L’effetto si può ottenere anche con le immagini:
Onomatopea
Figura retorica di suono non ha quasi bisogno di essere spiegata: è quando una parola evoca il suono specifico di una cosa, lo imita, lo riproduce.
Esempi: miagolio, miagolare, miao; patatrac; scricchiolare; bau bau; din don; «Nei campi c’è un breve gre gre di ranelle…» (Pascoli); «Chicchi ricchi» (pubblicità del Riso Gallo); «Plin Plin» (pubblicità Rocchetta); «Brrr, Brancamenta».
Ossimoro
È simile all’antitesi (accostamento di due parole/concetti di senso opposto) con la differenza che l’effetto che si ottiene è di creare un concetto nuovo, magari sottinteso, spesso paradossale. Inoltre, nell’ossimoro i termini contrapposti sono vicini, mentre nell’antitesi possono trovarsi anche distanti nella frase. È una delle figure retoriche che utilizziamo più di frequente nel linguaggio corrente per attirare l’attenzione del lettore/ascoltatore e suscitare una reazione diversa o inaspettata, perché devia il pensiero dal consueto all’inconsueto.
Esempi: «Silenzio assordante»; «buio accecante»; «illustre sconosciuto»; «lucida follia»; «Buona notte buona notte! La separazione è un così dolce dolore» (Shakespeare, Romeo e Giulietta); «…nel tacito tumulto una casa apparì sparì d’un tratto… (G. Pascoli).
Similitudine
Da non confondere con la metafora, la similitudine mette in relazione due elementi per meglio esprimere un concetto. Il paragone è esplicito e si realizza attraverso espressioni che mettano in connessione i due elementi, solitamente avverbi o locuzioni avverbiali di paragone (come, tale/quale, così/come, etc). Nella metafora gli elementi non sono connessi tra loro e l’uno diventa l’altro («Anche un uomo tornava al suo nido» – Pascoli). Nella similitudine si opera un vero e proprio paragone che aiuta il lettore a figurarsi, immaginare, concretizzare una situazione.
Esempi: «Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie» (Ungaretti); «Sei rossa spellata, sei come un peperone» (Vianello, Il Peperone); «Cantare come un usignolo»; «…e caddi come corpo morto cade…» (Dante); «…Un tempo i Malavoglia erano stati numerosi come i sassi della strada vecchia di Trezza…» (Verga); «Sembrava un morto con in mano un bicchiere» (Dalla, Meri Luis). La pubblicità ama molto le similitudini.
Sinestesia
Qui entrano in gioco i sensi. Potremmo definirla una metafora sensoriale, perché ad essere uniti e accostati sono parole o frasi appartenenti ad ambiti sensoriali diversi (udito/gusto, vista/udito, tatto/gusto) allo scopo di dare maggiore vividezza e incisività ad un’immagine. Anche questa è una figura retorica spesso usata nel linguaggio corrente.
Esempi: «Voce aspra»; «Colore squillante»; «Colori caldi/freddi»; «Fresche le mie parole» (D’Annunzio); «I dorati silenzi» (Dino Campana); «Il divino del pian silenzio verde» (Carducci).
Queste sono le figure retoriche che, anche senza essere poeti o romanzieri, puoi utilizzare – con buon senso e nel giusto contesto – nella tua comunicazione. Da esse puoi anche trarre ispirazione e ricavare idee quando devi produrre il testo o realizzare una grafica per il post di una pagina social.