Punto e virgola, quel segno elegante e sofisticato

Punto e virgola, quel segno difficile ma sofisticato

Mi piace il punto e virgola. È elegante e sofisticato. Interrompe e, allo stesso tempo, unisce.

Era inevitabile che la mia Scribaletter portasse il suo nome.

Non saprei dire quando ho iniziato ad usarlo con regolarità. So solo che, ad un certo punto, mi sono resa conto che questo segno di punteggiatura è sempre presente nei miei testi.

(In realtà me l’hanno fatto notare altri).

Forse perché per me la scrittura è ritmo e musicalità: mentre scrivo, tengo alta l’attenzione su come sarebbe la frase se pronunciata ad alta voce.

Il punto e virgola, da questo punto di vista, per me è il re dei segni di punteggiatura. Non solo aggiunge proprio ritmo e musicalità alla frase, ma aiuta la sequenza logica e il ragionamento.

Il punto e virgola, infatti, segnala una pausa più lunga rispetto alla virgola e le pause servono al nostro cervello per assimilare le informazioni appena ricevute e prepararsi a ricevere le prossime, pur senza interruzioni “pesanti” come quella determinata dal punto.

La sua natura ambigua, poi, permette un uso originale e personale del segno, al punto da diventare una cifra stilistica riconoscibile. Per lo stesso motivo (cioè per la sua difficoltà d’uso) molti preferiscono non usarlo, non avendone ben chiara la differenza con la virgola, con il punto e persino con i due punti.

Quando mi sono fatta persuasa (direbbe il Montalbano di Camilleri) che il punto e virgola era così importante per me, ho voluto saperne di più e mi sono imbattuta nel libro di Paola Baratter “Il punto e virgola. Storia e usi di un segno”.

Ho così scoperto che la nascita ufficiale del punto e virgola è attestata in una pubblicazione di Pietro Bembo (cardinale, scrittore e umanista) del 1496; che nel corso della sua storia si sono alternati usi diversi, alcuni sopravvissuti, altri scomparsi; e che le possibilità d’uso vanno analizzate in relazione alla funzione che gli si vuole dare (enumerare, argomentare o isolare).

Leopardi, per esempio, scelse di sostituire con il punto e virgola la virgola che nella prima versione dell’Infinito seguiva mi fingo per isolare ciò che segue: «Io nel pensier mi fingo; ove per poco / Il cor non si spaura».

In Manzoni il suo uso è spesso legato ad esigenze di tipo logico-sintattico, come in questa frase dei Promessi Sposi: «Basta: ci penserà questa notte; ma intanto non cominci a farsi male da sé, a rovinarsi la salute; mangi un boccone» e ovunque la frase abbia una certa complessità sintattica, con la presenza di molte virgole e una successione di azioni diverse.

Nel libro sono citati molti altri esempi di uso consapevole del punto e virgola da parte di narratori, poeti e scrittori dalla seconda metà dell’Ottocento a oggi, escludendo la «vaga disseminazione di virgole e punti e virgole, buttati a caso, qua e là, dove vanno vanno, come capperi nella salsa tartara» (Gadda).

Di fatto, sottolinea l’autrice del libro, il punto e virgola si è aperto «più di altri a un impiego di tipo stilistico-comunicativo», acquisendo uno status di segno “prestigioso”, peculiare della scrittura “colta”.

O almeno è così che è stato percepito, soprattutto in passato. Basta considerare la celebre scena della lettera nel film Totò, Peppino e la malafemmina; oppure l’uso parossistico che del punto e virgola fa Vincenzo Rabito, un contadino semianalfabeta, classe 1899, nel suo unico libro Terra Matta, la sua autobiografia pubblicata postuma nel 2000 e diventata un caso letterario: «Questa; e; la bella; vita; che; ho; fatto; il sottoscritto; vincenzo rabito; nato; a chiaramonte; qulfe; (in via; corsica;) dallora; provincia; di; siraqusa; figlio; di; fu; salvatore; e; di; qurriere; salvatrice; chilassa, 31. Marzo; 1899» (per sapere di più su Rabito rimando al bel libro di Alessio Beltrami “Content Marketing d’autore”).

Una pagina del manoscritto di Vincenzo Rabito

Conclusione

Mi sento di concordare con Iole Tognelli, citata nel libro di Paola Baratter, che dice: «Il paradiso del punto e virgola è qui, fra noi per rispondere di gravezze dottrinarie, regolare in estetica e in filosofia lo snodarsi delle principali e delle subordinate o delle semplici subordinate, agevolare quelle interlineature che brillano il discorso e combattono le secchezze delle scritture automatiche». Era il 1963 ma a me ha fatto pensare ai testi scritti con l’intelligenza artificiale.

Concludo con la filastrocca di Gianni Rodari:

C’era una volta un punto

e c’era anche una virgola:

erano tanto amici,

si sposarono e furono felici.

Di notte e di giorno

andavano intorno

sempre a braccetto.

«Che coppia modello –

la gente diceva –

che meraviglia

la famiglia Punto-e-Virgola».

Al loro passaggio

in segno di omaggio

persino le maiuscole

diventavano minuscole:

e se qualcuna, poi,

a inchinarsi non è lesta

la matita del maestro

le taglia la testa.

P.S. Per iscriverti a “Punto e Virgola”, la Scribaletter nella quale parlo – a vanvera ma anche no – di tutto ciò che gira intorno alla scrittura per il business vai qui.

Credit: l’immagine di copertina è un’opera originale che Chiara Abrardi, un’iscritta alla mia newsletter, mi ha inviato nel 2020, dedicata al punto e virgola. Fa parte della linea “Interpunzioni” e si intitola “Maternità”.

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